L’articolo 38 del D.L. Sblocca Italia n. 133/2014 modificando i precedenti disposti normativi, sanciva:
- la strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi;
- il trasferimento dell’autorità delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale sulle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente;
- l’introduzione di una concessione unica la ricerca e coltivazione in contrasto con la distinzione tra le autorizzazioni per prospezione (ricerca geologica), ricerca (con pozzo esplorativo) e coltivazione di idrocarburi (estrazione commerciale);
- reintroducendo il divieto di nuove estrazioni entro le 12 miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette;
- cancellando la dichiarazione di “strategicità, indifferibiltài ed urgenza delle attività petrolifere”.
il quesito:
Il quesito referendario riguarda nello specifico la possibilità da parte delle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di durata per le concessioni vigenti.
Nonostante già oggi le società petrolifere non possano più richiedere nuove concessioni per estrarre idrocarburi in mare entro le 12 miglia, limitatamente alle ricerche e alle attività petrolifere già in corso con una vittoria del SI obbligherebbe, alla scadenza del titolo autorizzato vigente, i concessionari a chiedere un rinnovo da parte dello Stato, sulla base di nuovi progetti e autorizzazioni all’esercizio da rilasciarsi secondo le normative vigenti.
Il referendum del prossimo 17 aprile non coinvolge tutta l’industria petrolifera ma una piccola parte, quella che svolge le proprie attività entro le 12 miglia (circa 22 km) dalla costa. Le concessioni in mare interessate sono divise in 5 zone: la zona A (Alto Adriatico), la zona B (medio Adriatico), la zona C (tratto di mare a sud della Sicilia), la zona D e F (Mar Ionio).
Le autorizzazioni per l’estrazione vengono rilasciate con una durata fino a 30 anni, con possibilità di ulteriori proroghe di 10 o 5 anni.
Ci sono quindi tre categorie di concessioni in mare:
- le concessioni oltre le 12 miglia. Nel 2015 hanno prodotto 2,48 miliardi di metri cubi di gas, il 36% della produzione nazionale.
- le concessioni entro le 12 miglia, il cui permesso è già scaduto e di cui hanno già richiesto la proroga da mesi, se non da anni.
- le concessioni entro le 12 miglia, i cui permessi inizieranno a scadere a partire dal 2017 e termineranno nel 2027.
A oggi nel nostro mare entro le 12 miglia sono presenti 35 concessioni di idrocarburi, di cui 3 inattive, una è sospesa fino alla fine del 2016 (Ombrina Mare in Abruzzo) e 5 non produttive dal 2015. Quindi le restanti 26 concessioni che sono produttive, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia.
Di queste, 9 concessioni (per 38 piattaforme) sono scadute o in scadenza, con proroga già richiesta. Queste ultime concessioni, verosimilmente, saranno prorogate in ogni caso ancora una volta anche in caso di vittoria dei “sì” al referendum, in quanto l’istanza di proroga è stata depositata quando era valida la vecchia normativa. Solo queste attività nel 2015 hanno prodotto 622 milioni di metri cubi di gas, pari a circa il 9% della produzione nazionale di gas naturale e l’1,1% dei consumi.
Le altre 17 concessioni (per 41 piattaforme) scadranno tra il 2017 e il 202. Tra queste, 4 concessioni hanno permesso anche una produzione di petrolio pari a 500.000 tonnellate, circa il 9,1% della produzione nazionale pari allo 0,8% dei consumi 2014. Nel 2015 hanno prodotto 1,21 miliardi di metri cubi di gas, pari a circa il 17,6% della produzione nazionale e al 2,1% dei consumi.
In totale le piattaforme soggette a referendum oggi producono il 27% del totale del gas e il 9% di greggio estratti in Italia.
l’inquinamento:
A preoccupare non sono solo gli incidenti, ma sono anche e soprattutto le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo. Attraverso i monitoraggi effettuati da Ispra, oltre i due terzi delle piattaforme marine hanno sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa.
Senza considerare la pericolosità di eventuali condotte illegali, come quelle che secondo la Procura di Potenza pare aver adottato l’ENI in Basilicata con lo sversamento in falda e in alcuni depuratori ad uso civile in Calabria di acqua contaminata da petrolio.
L’impatto sull’ambiente delle trivellazioni in mare può essere devastante e nessuno può escludere incidenti gravi. La portata di uno sversamento di petrolio, in un mare chiuso come il Mediterraneo, che impiega circa 90 anni per il ricambio completo delle proprie acque, potrebbe danneggiare gli ecosistemi in modo irreparabile.
In Italia paradossalmente le piattaforme petrolifere sono escluse dalla categoria di impianti a rischio di incidente rilevante (legge Seveso).
E’ inoltre ormai appurato che nella zona del Polesine, al confine tra Veneto ed Emilia Romagna, le estrazioni di gas metano avvenute tra il 1954 e il 1961 abbiano peggiorato ed accelerato il fenomeno della subsidenza, ovvero dello sprofondamento del terreno. Negli anni di attività estrattiva, poi interrotta proprio per la forte preoccupazione destata da questo fenomeno, si verificarono improvvisi abbassamenti del suolo in vaste aree fino a 2 metri, poi gradualmente attenuatisi ma mai interrotti fino a oggi. Studi scientifici hanno misurato ancora abbassamenti fino a mezzo metro nelle zone già colpite nel corso degli ultimi 30 anni. Le comunità locali fanno notare che l’intero gettito nazionale delle royalties dell’estrazione di idrocarburi non basta neppure a pareggiare i costi già sostenuti in questi anni per mettere in sicurezza gli argini dei corsi d’acqua e per ripristinare il sistema di bonifica che strappa quelle terre al mare, stimati in non meno di 4 miliardi di euro.
economia:
Le trivelle mettono a rischio la vera ricchezza del nostro Paese:
- il turismo che contribuisce ogni anno a circa il 10% del Pil nazionale dando lavoro a quasi 3 milioni di persone per un fatturato di 160 miliardi di euro;
- la pesca che produce il 2,5% del Pil dando lavoro a quasi 350.000 persone;
- il patrimonio culturale che vale il 5,4% del Pil dando lavoro a 1 milione e 400.000 persone;
Il trattamento delle concessioni di gas naturale e petrolifere in mare entro le 12 miglia è evidentemente molto diversa rispetto a quella dei diretti dirimpettai, ovvero gli stabilimenti balneari che occupano la costa. Per questi la Corte di Giustizia europea si prepara a bocciare la proroga automatica delle concessioni demaniali delle spiagge fino al 2020, con il motivo che violerebbe la direttiva Bolkestein sulla concorrenza. Ovviamente da una parte ci sono piccole aziende famigliari e dall’altra grandi multinazionali internazionali: due pesi e due misure da parte del Governo delle lobbies.
La lunga crisi economica, l’apertura del mercato energetico europeo e la straordinaria spinta delle fonti rinnovabili di questi anni hanno cambiato il sistema energetico italiano in una dimensione che nessuno avrebbe potuto immaginare anche solo 10 anni fa, quando ancora venivano progettate nuove centrali a gas naturale. Infatti mentre negli ultimi 10 anni i consumi energetici calavano del 2,3% e il contributo di energia di produzione termoelettrica scendeva del 34,2%, le fonti rinnovabili crescevano arrivando addirittura a coprire il 40% del fabbisogno elettrico nazionale. Nel 2014 l’Italia è stato il primo Paese al mondo per incidenza del solare rispetto ai consumi elettrici e in molte giornate nel corso dell’anno l’intero fabbisogno elettrico è garantito esclusivamente da fonti di produzione rinnovabili. Molti centrali termoelettriche alimentate a gas metano sono in corso di dismissione o di depotenziamento, sia per carenza di domanda sia per il prezzo di vendita talmente basso da non garantire redditività.
Qualora tutte le riserve di idrocarburi presenti sotto il mare italiano fossero interamente estratte potrebbero soddisfare il fabbisogno energetico del nostro Paese per 7 settimane nel caso del petrolio e per 6 mesi in quello del gas.
In Italia oggi ci sono oltre 850mila impianti energetici da fonti rinnovabili, che danno lavoro ad oltre 60mila persone con una ricaduta economica pari a 6 miliardi di euro.
il gettito fiscale:
Le royalties dovute dalle compagnie petrolifere per l’estrazione in Italia sono irrisorie, pari al 10% per la terraferma e al 7% in mare, per un valore assoluto di circa 350 milioni nel 2015. Tutto questo rende molto vantaggiose le estrazioni petrolifere. La quota di gettito da royalties delle piattaforme entro le 12 miglia è stata di circa 38 milioni e la perdita per l'erario sarebbe irrilevante.
In Danimarca, dove non esistono royalties ma si applica un prelievo fiscale totale per le attività di esplorazione e produzione, il carico fiscale arriva fino al 77% del reddito generato. In Inghilterra può arrivare fino all’82% del valore di produzione mentre in Norvegia è al 78%.
governo Renzi e le lobbies:Il mancato abbinamento del referendum del Governo Renzi alle elezioni amministrative del referendum ha comportato uno spreco di oltre 360 milioni, l’equivalente degli introiti annuali dalle royalties dalle trivellazioni oggetto del referendum.
Oltre alle note vicende legate all’estrazione del petrolio in Basilicata, ora oggetto di indagine della magistratura, e che mostrano uno spaccato dello stretto legame, affatto trasparente, tra le potenti lobbies degli idrocarburi e il Governo Renzi, si segnala anche l’agenzia di comunicazione che si occupa dell’immagine di Matteo Renzi dal 2009 è responsabile della campagna elettorale per l’astensione al referendum. La società è la DotMedia, il cui titolare, amico personale del premier, è già stato oggetto di accertamenti da parte della Corte dei Conti quando direttore eventi della Florence Multimedia, società partecipata creata dal Renzi nel 2005 quando era Presidente della Provincia di Firenze. Uno dei soci della stessa società è stato recentemente incaricato anche dal Ministro Pinotti al Ministero della Difesa.
I quesiti referendari proposti dalle Regioni erano 6 ma ne è rimasto solo 1, avendo nel frattempo il governo sterilizzato gli altri con modifiche all’ultima legge di Stabilità. I cinque quesiti saltati puntavano a restituire agli Enti Locali un ruolo rilevante nelle decisioni sullo sfruttamento di gas e petrolio. Ruolo ridimensionato con la legge Sblocca Italia, voluta sempre da Renzi con l’obiettivo di velocizzare i processi autorizzativi nel settore.
in Europa:
Il ministro francese dell’Ambiente e dell’Energia, Ségolène Royal, ha annunciato pochi giorni fa di voler applicare una moratoria immediata sui permessi di ricerca di idrocarburi nel Mar Mediterraneo sia nelle acque territoriali della Francia (fino a 24 miglia dalla costa) sia nella zona economica esclusiva (fino a oltre 200 miglia). La Francia segue l’esempio della Croazia, che per bocca del premier incaricato, Tim Oreskovic, ha proclamato una moratoria al progetto di esplorazione ed estrazione degli idrocarburi nell’Adriatico.