(Senaldi)
Anche se lui non lo ammetterebbe mai, il linciaggio mediatico subito dalla Regione Lombardia durante la prima ondata di Covid ha convinto quel vecchio liberale di Attilio Fontana che la democrazia in Italia non esiste più.
«Se non riesci a dimostrare quel che è vero perché l'opinione pubblica viene manipolata al punto che una bugia diventa la verità...» mormora il presidente, ripercorrendo la sua infernale primavera del 2020. «Siamo stati gestiti da persone che non sapevano quello che accadeva in Lombardia e pontificavano da Roma. Conte è stato qui una sola notte, poche ore, una visita lampo oltre due mesi dopo la comparsa del virus... Ho subito un massacro, dai politici avversari e dai giornali che li sostengono. Quando, primo in Italia, ho fatto un video per chiedere ai lombardi di indossare la mascherina sono stato insultato al punto che per giorni ho pensato di aver sbagliato io. Un'associazione dei consumatori ha minacciato di chiedermi milioni di danni per aver rovinato l'immagine del Paese, il mio collega laziale Zingaretti è venuto in pellegrinaggio sui Navigli, per esortare la gente a uscire insieme al sindaco Sala. Lo stesso ha fatto Gori con "Bergamo non si ferma". Anche Fratelli d'Italia... Ricordo che la Meloni fece interventi per rassicurare i turisti stranieri e invitarli a venire in Italia. Invece avevamo ragione noi, eppure avevamo tutti contro. I nostri dati erano già gravi, sono stato il primo a capire quel che sarebbe successo...». Oggi è tutto diverso. La Lombardia è il faro della lotta nazionale al Covid. Ha la maggior percentuale di vaccinati e secondo l'Ecdc, il centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie è, con Piemonte, Val d'Aosta e Molise, la sola regione italiana in zona verde, con meno di cinquanta contagi ogni centomila abitanti. «Ma noi siamo sempre stati virtuosi» precisa Fontana. «Non abbiamo nessuna colpa se l'epidemia è scoppiata qui. Nessuno sapeva cos' era, nessuno sapeva curarla. Finché un medico di Bergamo, contravvenendo alle indicazioni ministeriali, ha fatto un'autopsia, non sapevamo neppure che il virus provocava trombi che non venivano contrastati». La bomba è esplosa in Lombardia ma l'epidemia veniva gestita da Roma, che però scaricava la responsabilità delle sue decisioni sbagliate su Milano. «Ricordo di aver passato le notti al telefono con Conte per supplicarlo di chiudere tutto, ma lui niente. Così abbiamo perso una settimana. La verità la sanno tutti: bisognava far pagare a Salvini la colpa di essere uscito dal governo e la pandemia è stata sfruttata per processare la Lega, facendo sciacallaggio sulla sua regione simbolo». Sul banco degli imputati finì il sistema sanitario lombardo. Lei lo assolve? «La nostra capacità di reazione è stata fortissima. Ogni volta che arrivavamo al limite della disponibilità delle terapie intensive, i nostri dirigenti degli ospedali, i nostri medici riuscivano a superare la crisi, anche nei momenti peggiori passando da 700 a 1850 terapie intensive. E abbiamo più ospedali per abitante di tutti. I nostri medici non sapevano come curare il virus, non è stato solo un problema di organizzazione. Si è imparato giorno per giorno, combattendo in trincea...». La medicina territoriale però non ha risposto all'appello... «I medici del territorio non dipendono dalla Regione. Io non potevo farli uscire e, anche quelli che uscivano, agli inizi non sapevano quali terapie fossero davvero efficaci. Senza contare che mancavano anche aloro i presidi sanitari, che avrebbe dovuto fornirgli lo Stato». Si ricoverava troppo tardi, quando il paziente ormai era senza speranza... «Il sistema Lombardia però c'entra poco.Da anni, prima della pandemia, chiedevamo di assumere più medici, ma norme nazionali risalenti al 2007 imponevano a tutte le Regioni che la spesa per il personale sanitario tornasse entro il 2020 a quella del 2004 tagliata dell'1,4%. Così anche se avevamo le risorse ci si impediva di fare nuove assunzioni. Tra il 2011 e il 2019 i governi di sinistra hanno tagliato alla sanità 37 miliardi: tagli lineari, con le Regioni virtuose trattate al pari di quelle meno performanti...». Di chi la colpa del caos? «Non posso dimenticare che a metà febbraio il ministro Di Maio regalò tonnellate di mascherine alla Cina e noi poi siamo rimasti senza fino al 10 di aprile, giorno in cui è stata fatta la prima consegna significativa dalla Protezione civile nazionale. Non posso dimenticare di essere stato accusato di razzismo, insieme ai presidenti Zaia, Fedriga e Fugatti per aver chiesto di mettere in quarantena chi tornava dal capodanno cinese. E neppure Conte, che disse che l'Italia era prontissima a fronteggiare il virus ma, malgrado avesse dichiarato lo stato d'emergenza, non fece nulla, non ci preparò, non mise in allarme la popolazione per non diffondere il panico. Se solo mi avessero dato retta, appena lo tsunami è arrivato in Lombardia, sarebbe andata diversamente». Fu vittima di un linciaggio? «La cosa più dolorosa è stata leggere una sera la scritta sul muro "Fontana assassino". Ma di che?». Adesso è tutto diverso: come si spiega il miracolo lombardo? «Non mi stupisce. La Lombardia fa sempre le cose bene, generalmente meglio degli altri, nella gestione ordinaria dei problemi. Siamo stati messi in ginocchio da una catastrofe eccezionale ma già nella seconda ondata, l'autunno scorso, siamo stati quelli che hanno reagito meglio, avendo l'impatto minore di tutti da parte del Covid sulla mortalità rispetto al marzo 2020. Detto questo, il miracolo per me si chiama vaccini: siamola Regione che ne ha fatti di più e per questo siamo tra i meglio messi, malgrado abbiamo la maggiore densità di abitanti del Paese». Ha visto che il Parlamento vorrebbe mettere il bavaglio ai virologi in tv, subordinandone le apparizioni a un via libera dell'ospedale dove lavorano? «Una cosa da Kgb. Ma è chiaro che sul Covid ormai si tenda ad arrivare a un'unica verità di regime. A questo proposito, quel che più mi offende è che non si faccia un'analisi seria su quanto accade ed è accaduto. Si procede per slogan e tesi giornalistiche del mainstream». Allora lei condivide lo scetticismo della Lega nei confronti del Green pass? «Si è troppo romanzato riguardo la posizione della Lega su vaccini e Green pass. La politica è fatta di parole ma poi contano i comportamenti: la Lombardia, a guida leghista, è la Regione con più vaccinati, insieme al Veneto leghista. La sinistra non perde occasione per attaccare la Lega e usa qualsiasi pretesto per provocare Salvini e farlo uscire dalla maggioranza, cosa che ritengo del tutto irrealistica». Però la svolta della Lega sul Green pass è solo recente... «Non c'è stata nessuna svolta della Lega. Salvini ha sempre votato a favore dei provvedimenti del governo sul Covid. Nel Paese c'è una tensione tra no vax e talebani della profilassi che crea solo confusione. La Lega ha assunto una posizione responsabile, di ascolto e dialogo, facendo presente tutte le problematiche di un'eccessiva estensione del Green pass. La posizione moderatamente critica assunta da Salvini è più funzionale al dibattito e all'estensione del vaccino». Lei non è per l'obbligo? «Si creerebbe una tensione insostenibile, in troppi si sentirebbero vittime di un'ingiustizia». Ci sono due Leghe, quella dei ministri e dei governatori e quella di Salvini e dei gruppi parlamentari? «Tutte palle. Nessuno nel partito mette in discussione il segretario, che gode della fiducia di tutti». La sua linea però ha ballato... «Ha solo alzato il tiro per ottenere le modifiche necessarie». Lo accusano di aver inseguito la Meloni nella corsa al gradimento dei no vax...
«Nel centrodestra è ora di remare tutti insieme nella stessa direzione, altrimenti rischiamo di non vincere alle prossime elezioni». La Meloni vuol guidare il centrodestra... «La cosa più importante è vincere le elezioni politiche, battere il centrosinistra rafforzando la proposta politica della nostra coalizione, sapendo offrire ricette di prospettiva che convincano gli elettori che oggi sono incerti e disorientati». Colpa di Draghi, che di fatto ha esautorato i partiti? «A me sembra invece che i partiti vengano ascoltati. I cinque punti dei governatori leghisti, sono stati tenuti in conto dal premier. E mi permetta di aggiungere che il Piano di Rilancio, prima di Draghi, lo aveva fatto la Regione Lombardia: già nel maggio 2020 avevamo stanziato tre miliardi e mezzo - poi diventati quattro - per il sostegno alle imprese, alla ricerca, alla digitalizzazione e per le infrastrutture». E sulla sanità, dove l'hanno crocifissa? «Grazie alle risorse del PNRR abbiamo stanziato i soldi per creare 216 case di comunità, una sorta di poliambulatori dove far incontrare e lavorare insieme i medici del territorio e gli specialisti, e cinquanta ospedali di comunità, dove monitorare e fornire cure intermedie ai malati operati che non hanno nessuno che può assisterli a casa e fare anche piccoli interventi». Si ricandiderà? «Ne avrei voglia, ma è una riflessione che farò più avanti»