Roba da applausi, a prima vista, se non fosse che Rossi sa benissimo chi sono gli interlocutori a cui dovrebbe rivolgersi. E non da cittadino, ma da presidente della Provincia. Uno è il governo che è guidato dal suo segretario e che vanta, tra i ministri più in vista, il bergamasco, nonché suo capocorrente (“Sinistra è cambiamento”), Maurizio Martina. Gioca in casa, se non riesce a parlarci direttamente, veda di scambiare con loro almeno un tweet. Se non trova udienza, abbia il coraggio di dirlo ad alta voce, non limitandosi a parlare di un generico “scandaloso silenzio”.
L’altro soggetto da chiamare a render conto è la Regione. Qui Rossi è perfino avvantaggiato perché all’assessorato ai Trasporti c’è quell’Alessandro Sorte con cui, quando questi vestiva i panni di coordinatore provinciale di Forza Italia, ha firmato nientemeno che il “patto costituente” (perifrasi nobile di quello che non è altro che un inciucio) su cui si regge la maggioranza di via Tasso. Visto che si vedono anche in momenti di relax, forse è il caso di approfittarne. Non foss’altro per richiamare chi da un lato sostiene la Provincia e dall’altro, legittimamente dal suo punto di vista, attacca Renzi come l’affamatore degli enti locali. La lettera che gli ha mandato è opportuna, ma gli esercizi epistolari spesso si rivelano retorici e, alla fin fine, stucchevoli.
Insomma, detto in termini terra terra, Rossi deve decidere che ruolo vuole giocare. Se davvero crede fino in fondo in quello che fa, e ritiene che si sia arrivati ad un punto di non ritorno, non deve far altro che alzare la voce, chiamare ciascuno alle proprie responsabilità e, sulla base delle risposte, agire di conseguenza. Compresa la possibilità di rimettere il mandato. Se il gioco non sta in piedi chiamarsi fuori non è un gesto di vigliaccheria. E’ l’unico modo di dimostrare che il re è nudo. Darsi al populismo forse aiuta ad accrescere la popolarità su Facebook, non certo a risolvere i problemi. ( fonte LaRassegna.it)