Veramente io intendevo la lunga campagna per le Politiche, primavera 2018…
«Se il centrodestra vince a Genova, da sempre amministrata dal Pd, che in città è devastato, e patria del fondatore di M5S, che cambia candidato ogni dieci minuti, è nelle cose andare a votare prima. Dopo la mazzata del referendum, se Renzi prende schiaffi anche alle Amministrative...».
Circola già un manifesto con la scritta “Salvini premier”…
«Compare sui poster preparati per la manifestazione per la legittima difesa del 25 aprile a Verona, dove inviterò il giudice di Treviso Angelo Mascolo, attaccato dal Csm perché ha detto quello che tutti pensano, ossia che non si sente tutelato dallo Stato».
È una scritta piccola: scaramanzia?
«Giusto partire così. Non l’ho voluta io, me l’hanno chiesta i segretari locali, le sezioni, la gente, anche fuori dalla Lega. Vorrebbero pure le spille e gli adesivi ma ancora non faccio merchandising».
Per candidarsi premier deve allargare il consenso, non bastano ruspe e attacchi all’Europa…
«Ovunque vado ai miei appuntamenti arrivano imprenditori, docenti universitari, manager, molte donne. Presenterò molto presto un programma con molti passaggi diversi rispetto alle abitudini del centrodestra e della Lega. Non solo tasse, autonomia e sicurezza, anche scuola, ambiente e giustizia, che è la vera emergenza, sia per i tempi dei processi che per l’incertezza del diritto».
Un candidato premier deve trovarsi uno slogan: Berlusconi punterà sull’usato sicuro, Grillo sulla rottamazione e il reddito di cittadinanza, Renzi si sta dannando per tirarne fuori uno: e lei a che punto è?
«Si dice che per vincere le elezioni basta trovare, come ha fatto Trump, un tweet di 140 caratteri comprensibile anche a un ragazzo di 13 anni. A me ne bastano 16: “Prima gli italiani”. Da europarlamentare sono dieci anni che mi batto per questo contro l’Europa».
Il suo problema è convincere l’elettorato moderato a votarla. Lei è leader da messaggi forti: come pensa di fare?
«Moderato non significa smidollato. L’elettore moderato in questi anni si è rifugiato nell’astensionismo perché si è sentito preso in giro. L’aliquota fiscale unica, la sicurezza, i freni all'immigrazione, la riforma degli ordini professionali, una scuola che prepari sono temi forti ma che interessano molto l'elettorato moderato, che si rende conto che avanti di questo passo si muore. Oggi il vero estremista è chi non vuole svolte radicali».
La battaglia all’Europa e all’euro però spaventa, rischia di allontanare…
«I dati economici dicono che il progetto di una moneta unica per 18 economie diverse è fallito. D’altronde, non ha mai avuto precedenti nella storia. L’euro crollerà, come sostenuto anche dall’ultimo premio Nobel per l’economia professor Hart, non grazie a Salvini ma perché avanti così porterà al fallimento della Ue. E a quel punto, come quando scoppia un incendio, ti salvi solo se hai preparato un piano di fuga. Offrire un’uscita di sicurezza non significa essere estremisti ma saggi».
Non teme che, in caso di uscita dall’euro, l’Italia con il debito pubblico che ha sarebbe travolta dallo spread?
«Da che abbiamo l’euro in tasca in Italia il debito pubblico è salito di 850 miliardi di euro, una cifra folle, mentre il reddito medio dell’italiano è diminuito di 2000 euro. L’unica cosa che temo è di essere l’ultimo a lasciare la barca che affonda. Quando parlo di uscita dall’euro non intendo un salto nel buio. Stiamo lavorando al piano con fior di economisti».
Un altro ostacolo per la sua corsa alla premiership è il Sud, che non sembra intenzionato a votare il leader della Lega…
«Ne è convinto? Io penso invece che al Sud non vedano l’ora di avere lo stesso modello di buon governo che ha il Nord».
Le sue puntate a Napoli testimoniano il contrario…
«Dopo quella giornata, funestata da incidenti provocati dai centri sociali che il sindaco De Magistris avrebbe dovuto e potuto fermare, mi sono arrivati molti messaggi di solidarietà e richieste d’iscrizione da napoletani che prima non si erano mai avvicinati alla Lega e che sono stufi di essere rappresentati da no global e un sindaco che si crede Masaniello. A Napoli abbiamo un gruppo di lavoro che conta già tantissime persone in gamba e perbene. Il 10 aprile sarò a Bari per incontrare i pugliesi e il 20 aprile a Catania per incontrare di nuovo i siciliani».
E dei napoletani che stanno organizzando una manifestazione anti-leghista a Pontida cosa mi dice?
«Vengano, purché con rispetto e civiltà. Pontida è una bellissima meta turistica». Come pensa di far digerire all’elettorato leghista più tradizionale lo sbarco del Carroccio al Sud: Bossi la critica per questo? «Un cittadino lombardo, veneto o piemontese vuole città più sicure, più onestà e meno tasse e solo andando al governo posso impegnarmi a cambiare le cose. Bossi oggi mugugna ma fu lui a fondare la Lega Sud. Andò anche in Sicilia a fare l’accordo con il governatore Lombardo. Non funzionò perché i tempi non erano maturi o non trovò le parole giuste. Si vede che io sono più fortunato».
Si parla di cene tra il Senatùr e leghisti vari in cui ci si esercita nel tiro a Salvini…
«Sono cene di nostalgia con l’affetto per il presidente. Anche a me capita di fare qualche rimpatriata con gli amici del liceo per ricordare i vecchi tempi. La mattina dopo mi sveglio e torno nel presente».
Quanto è importante il referendum per l’autonomia regionale che stanno portando avanti in Lombardia e Veneto i governatori Maroni e Zaia?
«È una battaglia centrale per la Lega, per i cittadini di Lombardia e Veneto, che se passasse l’autonomia fiscale si ritroverebbero in tasca 5000 euro a testa in più l’anno, e anche per l’Italia. La sola Lombardia si troverebbe nelle casse 50 miliardi in più da investire sul territorio. Non dico di tenerli tutti, ma la metà sì. Non si dice che la virtù sta nel mezzo?».
Come concilia il referendum, in cui chiede più risorse per due regioni ricche, con le sue aspirazioni di leader nazionale?
«Quando parlo al Sud del referendum lombardo-veneto ho sempre riscontri positivi. Non devo tenere discorsi diversi a seconda di dove sono, perché in Meridione sanno che i soldi del Nord non arrivano ai poveri del Sud ma vengono divorati da politica locale e criminalità organizzata. Per chi ha davvero bisogno al Sud ci sono solo le briciole».
Lei cosa offre all’elettore meridionale?
«Lavoro e libertà: 150 anni fa molte realtà del Sud erano più ricche, innovative e sviluppate rispetto a oggi, il centralismo prima italiano e poi europeo purtroppo ha fermato la storia. L’autonomia fiscale non solo in Sicilia, dove Crocetta la usa solo per farsi i propri comodi. Più la spesa pubblica è vicina al territorio, più è controllabile e meno soldi si perdono nei vari passaggi. Se le Regioni meridionali usassero gli stessi criteri di spesa della Lombardia, avremmo un risparmio di 23 miliardi. Certo, non nego che l’autonomia comporterebbe un taglio della burocrazia inutile al Sud ma libererebbe un sacco di risorse».
Non sarebbe più opportuno votare prima il referendum in Veneto, da sempre più autonomista, e poi in Lombardia, sulla scia del probabile successo di Zaia?
«Non decido io. Il referendum si rivolge a tutti e la data è una scelta istituzionale che spetta a Maroni e Zaia, che vorrebbero farlo contestualmente al voto amministrativo per risparmiare denaro pubblico. Comunque, anche se non bisogna fidarsi troppo dei sondaggi, le garantisco che ho tra le mani dati spettacolari. Se domani si votasse, in Veneto sarebbe un trionfo e anche in Lombardia si vincerebbe bene, e con una buona affluenza».
Parliamo del centrodestra: a che punto sono i lavori in corso?
«Gli elettori ci vogliono insieme. Si può fare, a patto di non ripetere gli errori del passato e tornare a imbarcare tutto come sull’arca di Noè, da Alfano a Fini a Cicchitto. Nessuno pensi di cambiare nome e bandiera, tagliarsi i capelli e ripresentarsi come nuovo». Genova può essere un modello? «Certo, anche se nel locale è più facile trovare un accordo chiaro».
Come sono i suoi rapporti con Berlusconi, centrali per il futuro del centrodestra?
«Buoni, l’ho sentito la settimana scorsa, anche se vederlo a Malta con la signora Merkel lascia a me e agli italiani molti dubbi».
E con i forzisti come va?
«Bene. Sindaci e consiglieri azzurri ci esortano a tenere duro sull’Europa e sull’immigrazione. Purtroppo per ora lo fanno solo sottovoce, perché qualcuno ai vertici di Forza Italia è ancora convinto che per il proprio futuro personale sia più conveniente continuare a baciare la pantofola alla Merkel».
Forse ne è convinto anche Berlusconi?
«Più che lui forse qualcuno a lui vicino. Berlusconi è troppo paziente e tollerante con i suoi, sull’euro e i vincoli alle banche e alla nostra economia so che la pensa come me. Anche se da lui aspetto ancora una parola sulla Turchia: resta convinto, con Prodi, che sia il caso di accogliere Erdogan in Europa?».
L’Europa è il punto divisivo tra voi…
«Il 75% delle leggi italiane sono fatte a Bruxelles e fatte male come la direttiva Bolkestein (300 mila posti di lavoro a rischio in Italia) e la direttiva sulle banche, che rischia di fare strage già nei prossimi giorni di 160 mila risparmiatori imbrogliati da Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Il tema europeo non può essere nascosto sotto il tappeto. Se dobbiamo fare un accordo elettorale, meglio litigare prima piuttosto che dividersi un minuto dopo il voto. Gli elettori chiedono di fare patti chiari e di rispettarli, non è più tempo di campagne elettorali eteree. Ci è già capitato di stravincere e poi di non riuscire a fare nulla».
Cosa mi dice di Parisi: a Milano l’avete sostenuto?
«Fino a che non ha presentato il suo partito, sabato, ne avevo perso le tracce. A differenza di altri non ha tradito, anche perché non è stato eletto. Certo i suoi attacchi non li ho graditi e alla manifestazione del centrodestra a Firenze eravamo 50mila ma lui mancava. Diciamo che siamo pronti a dialogare alle nostre condizioni, non cerco polemiche».
Il centrodestra si presenterà con un listone unico?
«Niente listone, ognuno ha la sua storia. L’Italia non è pauperista e grillina, la maggioranza sociale e culturale è di centrodestra ma senza un accordo politico vincolante, i sondaggi che ci danno in testa non contano nulla e piuttosto che vincere prendendo in giro gli elettori preferisco una strada più lunga e solitaria. Sì all’accordo ma non a tutti i costi, non è il caso di unire e annacquare».
Neppure con la Meloni?
«Lista unica no, ma con lei si lavora bene. La Lega è una forza che ha nel proprio dna l’autonomia. Sono leghista da trent’anni e difendo le ragioni e le radici del movimento».
Ma dove sono oggi le radici della Lega?
«Ovunque ci sia qualcuno che ama la sua terra e lotta per la libertà. È così da sempre».
La accusano di snaturare la Lega per inseguire un progetto personale di potere?
«La mia non è ambizione personale ma una sfida politica. L’Italia delle autonomie che sogno in questo momento è minacciata da un’emergenza che si chiama Unione Europea e che vuole distruggere tutte le diversità».
Insomma, da leghista è diventato un sovranista innamorato dell’Italia?
«Io, come ogni leghista, sono innamorato di tutte le bandiere e di tutte le libertà. Ma per difendere le autonomie regionali dalla Ue e dalla globalizzazione oggi serve una prospettiva nazionale. Se non controlli la tua moneta e i tuoi confini non puoi avere indipendenza».
Chissà se l’ultraindipendentista Oneto, vecchio collaboratore di Libero per il quale già il Nord era un concetto troppo esteso, sarebbe d'accordo con lei…
«Ero in ospedale con lui l’ultima sera della sua esistenza terrena e ci siamo parlati per più di un’ora. Mi spronava ad andare avanti nella sfida a Bruxelles, mantenendo saldi i valori dell’autonomia e delle identità. Perché, come sosteneva Oneto nei suoi fili diretti in Radio già negli anni Novanta, bisogna riprendersi il potere da Bruxelles per poi riorganizzarsi a livello federale. È questa la differenza fondamentale tra la Lega e la Le Pen, che invece sogna lo Stato centrale forte».
Si augura che vinca?
«Sì, anche se avrà tutti contro, giudici, finanza, televisioni. Sarebbe il secondo schiaffo all’Unione dopo la Brexit».
Quindi oggi si definisce sovranista, federalista e antieuropeista?
«Non sono antieuropeista, anzi. Io sono europeista ma contro questa Ue, che è la negazione del sogno europeo. Anche la Svizzera è Europa ma non ha mai aderito alla Ue».
Putin è Europa?
«Ha ereditato un Paese in declino, mafioso e corrotto e gli ha ridato identità e un progetto. È assurdo criminalizzarlo. E poi i russi amano il nostro Paese, vengono qui, spendono».
Il rapporto con Putin è una cosa che lei ha in comune con Berlusconi…
«Io Putin l’ho visto mezz’ora due anni fa. Quanto a Berlusconi e Putin, mi piacerebbe che a Strasburgo Forza Italia si battesse per porre fine alle sanzioni contro la Russia».
L’elettorato cattolico è senza rappresentanza. In passato la Lega gli ha strizzato l’occhio: è ancora così?
«Da peccatore, anche se sono convinto che certe invasioni del Vaticano nella politica sono eccessive, dico che su temi come adozioni gay, utero in affitto o no alla rimozione dei crocifissi dalle scuole, da tempo solo la Lega è l’unico interlocutore di cui i cattolici si possono fidare, non abbiamo mai cambiato idea».
Però lei ha criticato spesso Francesco…
«Non condivido le posizioni del Vaticano sull’accoglienza indiscriminata e su questo non tratto».
Chiudiamo con un’anticipazione del programma di governo a cui lavora?
«Immigrazione e sicurezza: rimpatri a go-go, pene all’estero per i detenuti stranieri, lavoro obbligatorio per i condannati in via definitiva come in Austria, reintroduzione di sei mesi di servizio civile e militare obbligatorio su base regionale per i nostri ragazzi. Divieto assoluto per le navi delle organizzazioni umanitarie di entrare nelle acque territoriali italiane. In nome della bontà tengono in piedi affari milionari sulla pelle di disperati. Tasse: aliquota fiscale unica al 15%, i soldi ci sono, l’abbiamo studiata al centesimo. Via spesometri e studi di settore, via prefetture e sovrintendenze dando tutti i poteri ai sindaci. Lavoro: eliminare la Legge Fornero e riportare a 60 anni di età e 40 di contributi il requisito per andare in pensione. Istruzione: vanno rivisti l’età d’inizio e la durata degli studi, le pause estive nella scuola e i finanziamenti alla ricerca universitaria nonché i criteri di selezione dei docenti, su base regionale. Europa ed euro: fuori, non dall’oggi al domani ma con tempi e modi certi a cui l’alleanza di governo è vincolata. Infrastrutture e imprese: rilancio di porti, autostrade e di tutto quello che Gentiloni vuol svendere, Finmeccanica in testa, con un’attenzione particolare al costo dell’energia, insostenibile per le imprese italiane».
E dove trova i soldi?
«Smetto di regalare 8 miliardi di euro all’anno all’Unione Europea, recupero 5 miliardi all’anno dal mercato russo con la fine delle sanzioni, li recupero dalle Regioni concedendo loro autonomia fiscale, li risparmio tagliando gli sprechi e riorganizzando il pubblico, vengono dalle tasse se si abbatte l’aliquota e si semplifica il sistema fiscale. E poi ci sono i 60 miliardi che il finto made in Italy favorito dall’Europa ci sottrae e, perché no, almeno un miliardo all’anno che potremmo incassare regolamentando, tassando e togliendo dalle strade la prostituzione. Come vede il lavoro non manca, non vedo l’ora di cominciare».
di Pietro Senaldi ( fonte liberoquotidiano.it)