Qualche mese fa avrei scommesso che, una volta messo insieme un pacchetto di voti sufficiente a farlo primeggiare sugli altri partiti del centrodestra, Matteo Salvini avrebbe riproposto lo schema di gioco che Silvio Berlusconi aveva inaugurato nel 1994. La Lega come perno e gli altri gruppi intorno, stile Casa delle Libertà, ma con lo spadone di Alberto da Giussano al posto del tricolore forzista. Invece, anche dalle mosse delle ultime settimane e a maggior ragione dopo il comizio di ieri, si capisce che il numero uno del Carroccio non ha alcuna intenzione di rifare le alleanze che portarono il centrodestra a vincere parecchie elezioni. Nella testa c’è altro e probabilmente si tratta di un pensiero uguale e opposto a quello dell’altro Matteo. Renzi infatti vuole fare il Partito unico della Nazione? E allora Salvini punta al Partito unico dell’Opposizione. Altro che accordo con Forza Italia e con Ncd: il piano del segretario leghista mira a svuotare tutti i serbatoi di ciò che resta del centrodestra.
E non solo: le parole usate ieri in piazza del Popolo, i vaffa alla legge Fornero, gli insulti al presidente del Consiglio, fanno capire che Salvini punta anche a saccheggiare i forzieri del Movimento Cinque Stelle, che non a caso negli ultimi sondaggi è dato in calo. I toni dell’erede di Bossi sono simili a quelli adoperati da Grillo quando lanciò il suo movimento. Salvini carezza il pelo al suo elettorato, sugli immigrati e i rom, spara a zero contro l’islam, ma si coccola anche la piccola impresa e perfino i disoccupati, strizzando l’occhio a quegli italiani che un tempo votavano Lega ma poi dirottarono verso i pentastellati e a quelli che mettevano la crocetta sul simbolo di Rifondazione comunista ma un bel giorno furono sedotti dalla verve spacca tutto di Grillo. E allo stesso tempo, attaccando l’Europa, proponendo una flat tax al 15 per cento per tutti, parlando di piccole imprese e di professionisti, Salvini non perde di vista neppure l’elettorato di Forza Italia che, seppur deluso e sollecitato da Renzi, ancora c’è e resiste, confermando l’attaccamento all’ex Cavaliere.
Certo, l’operazione leghista non è facile per molte ragioni, la prima delle quali è data dall’antimeridionalismo che ha sempre contraddistinto il partito padano. Da Roma in giù, la Lega è il movimento della secessione, quello che voleva togliere al Meridione per dare al Settentrione. Il Carroccio in gran parte dell’elettorato del Sud è percepito come un nemico e nonostante gli sforzi di Salvini è dura rifarsi l’immagine, ma ancor più dura è proporsi come interprete del malcontento che pure alberga in molte regioni del Mezzogiorno. Come si fa a pescare voti fra i forestali di Calabria e Sicilia, fra le decine di migliaia di dipendenti di Palazzo dei Normanni o delle municipalizzate campane?Anche se questi sono inferociti e vorrebbero dare un calcio ai partiti tradizionali, pronti a votare perfino Grillo, difficile che scelgano di puntare sul verde leghista. Complesso è anche convincere quell’elettorato moderato che certo non ama la sinistra, ma neppure apprezza i toni un po’ troppo forti di Salvini. I vaffa e le etichette appiccicate tanto facilmente al presidente del Consiglio non fanno parte del bagaglio politico dell’elettore centrista che per anni ha tributato il suo consenso a Silvio Berlusconi: quelli vogliono sì arginare la sinistra, ma senza esagerare.
Tuttavia, nonostante resistenze e difficoltà, ieri Salvini ha sfidato le contraddizioni, provando a tenere insieme gli opposti, ossia i secessionisti e i nazionalisti. Colpivano in particolare le bandiere tricolore che sventolavano sulla piazza. Abituati ad assistere ad adunate leghiste in cui trionfavano drappi verdi, ieri al contrario si potevano notare i colori della Repubblica, quasi a rafforzare l’identità di partito nazionale e non del solo Nord. E sulla piazza si stagliava la gigantografia dei due marò che l’India vuole condannare, una battaglia per la quale la Lega non si è mai spesa troppo, ma che ieri Salvini ha imbracciato, un po’ per contentare gli alleati di Fratelli d’Italia, un po’ per sposare due simboli di un’Italia unita.
Qualche esperto di flussi elettorali osserva che nonostante gli sforzi di presentarsi come il solo vero antagonista di Renzi e come leader nazionale, Salvini non potrà comunque andare oltre il 15 per cento, perché su certi temi che stanno a cuore agli italiani, in particolare quelli economici, è poco rassicurante (l’uscita dall’euro, la flat tax senza dire dove trovare i soldi, la riforma della riforma Fornero etc. etc). Può darsi. Sta di fatto che non solo fino a due anni fa nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su Matteo Renzi a Palazzo Chigi, ma fino a un anno fa nessuno avrebbe messo un euro neppure sulla sopravvivenza della Lega. E invece stiamo parlando di un partito che oggi ha già raggiunto il 15 per cento. E domani chissà…
di Maurizio Belpietro ( liberoquotidiano.it)
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