Insomma Matteo Salvini spalanca orizzonti oltre questa cosiddetta Lega 2.0, ed è comunque una bella notizia. Perché è chiaro, almeno a chiunque si occupi di cose nordiste, che questa creatura maroniana, tanto pragmatica da essere a volte silente, tanto giusta e fin inevitabile nella sua pars destruens (giornata delle scope e diamanti e tutta l’operazione-pulizia rispetto agli ultimi giorni della Family) quanto imperscrutabile nella sua pars costruens, è una creatura di transizione. Un interregno, la “terra di mezzo” necessaria e forse anche espiatrice, che però è già arrivato al proprio esaurimento. Lo pensa per primo Maroni, che un giorno sì e l’altro pure dichiara il suo prossimo abbandono della segreteria per concentrarsi su quel che sa fare, l’uomo di governo lucido e produttivo. Ed è quel che è emerso anche ieri, a Domaso, perla arroccata sul lago di Como e luogo-simbolo per qualunque critico dello statalismo italico (ci ha vissuto e vi è sepolto un certo Gianfranco Miglio), al convegno “Giovani, Europa e Indipendenza”, organizzato dai Giovani Padani. Chi scrive ha tentato di moderare la discussione, animata da Stefano Bruno Galli, professore di Storia delle dottrine politiche e capogruppo della lista Maroni presidente, Claudio Borghi, economista docente alla Cattolica di Milano, Gianluca Marchi, direttore de L’Indipendenza (con cui da tempo questo giornale ha avviato un proficuo dialogo nella diversità). E, appunto, Matteo Salvini. Impossibile riannodare la quantità di spunti emersi in un discorso univoco, né è quello che mi interessa. Qui, piuttosto, si prova a cucinare il sugo politico di una domenica in cima al lago, e quel che ne esce ci pare tutt’altro che banale. Anzitutto, Salvini ha piantato un paletto benvenuto, non ideologico, tutt’altro che scontato. La Lega non è un oggetto di destra, o di sinistra. Il leghismo, non è questione di destra o sinistra, ma, ampliamo noi, interlocutori non organici, il federalismo, l’autonomismo e il liberalismo (senza cui il resto rimane un flatus vocis, o degenera in mero localismo) non sono questione di destra o di sinistra. Semplicemente perché sono oltre, parlano di priorità del 2013, e non del Novecento, sfuggono alla retorica anchilosata dello Stato-nazione, come ha più volte battuto su questo giornale Carlo Lottieri, l’ultima sviscerando la grande marea umana della Catalogna. Per cui facciamo saltare una buona volta gli schemi del secolo breve, e distinguiamoci in base alla vera dicotomia, oggi: chi mette in discussione la cappa statalista e dirigista, ovunque, e chi la sostiene. Appunto, ovunque. Un’altra accelerata benefica di Salvini, è stata sull’Europa. Non si capirà in tutti i suoi contorni la nostra condizioni di schiavi fiscali nel nostro Paese, finché non si capirà la condizione di schiavitù monetaria di questo verso l’Europa. Verso questa Europa, eretta sul totem dello Spread, pensata come espansione del marco, vissuta come mega-apparato persecutorio contro chiunque si discosti dalla linea tracciata a Berlino e a Bruxelles. Salvini è euro-parlamentare, sa di cosa parla, sa che la battaglia per il territorio e la libertà dell’individuo è anche battaglia per un’altra Europa, non più incardinata sul principio autocratico dello Stato-nazione ampliato sul continente, Leviatano tra i Leviatani, ma diffusa, libertaria, Miglio avrebbe detto “policentrica”.
Infine, certo, la Lega, il partito, il risiko italico. Quel che non deve più essere, anzitutto. Lo dice chiaramente Salvini, andrebbe saldato nella memoria di tutti: «Quella di Bossi su Tosi è una battuta del cazzo che non serve a nessuno». Le preferenze sessuali del sindaco di Verona, davvero, c’è ancora qualcuno che vuole mortificare così tanto l’elettorato, da pensare che custodiscano un senso che vada oltre il bianchino al bar? No, Salvini lo dice, sarà ovvio, ma in questo momento è coraggioso. Altro discorso, è la relazione politica, la possibile convivenza di una Lega alla Salvini (padanismo accentuato e ribellismo rigoroso contro Italietta e EuroGermania) con una Lega alla Tosi (superamento della ridotta padana verso un nuovo centrodestra, un rinnovato fronte liberal-nordista), qualcosa perennemente in bilico sull’ossimoro, come spesso ha sezionato il nostro Albertino, arrivando a parlare di nonesense. Ma Salvini è troppo rodato, non affronta il nodo urticante, ci gira attorno con l’aneddotica e l’inoppugnabile omaggio al Tosi-sindaco. Forse, andrebbe portata la spartizione fino in fondo, e alla luce. Tosi che si gioca la partita sul Paese, e sull’estremo tentativo di riformalo, un’intenzione che val la pena di essere approfondita (e ci stiamo provando). Salvini che dà corpo alla Lega 3.0, che si prende tutte le libertà movimentiste del caso, a costo di recidere il passato. Schema a due punte, si chiama. L’alternativa, dicono, sia il segretario pacificatore Giorgetti, tutto cambia perché nulla cambi. Occhio, però, il gattopardismo non s’addice al Nord.( da L'intraprendente di Giovanni Sal