Se siete elettori della Lega vi sarà capitato di sentire aleggiare su di voi quella sorta di etichettatura aprioristica che vorrebbe dipingervi come degli ignoranti buzzurri, usciti da chissà quale campo della provincia bergamasca, con ancora gli scarponi lordi di fango, per esprimere una preferenza elettorale fatta di volgarità, separatismo e nazismo latente (tipo i terroni, NdR). Ironia della sorte, questa etichetta vi viene appioppata da quel popolo di sinistra che, ramingo dopo le varie metamorfosi, ipocrisie e rinnegazioni del fu PCI, ora si ritrova smarrito, o peggio, si ritrova pure a votare in maniera molto convinta movimenti tipo PD, SeL o Rifondazione Comunista.
È simpatico notare come questo approccio di totale spregio verso la classe popolare e le sue preferenze sostanzialmente derivi da partiti le cui classi dirigenti, lungo i decenni passati, tanto ci avevano ammorbato con il culto del contadino e dell’operaio, dell’uomo del popolo uscito dalla casa del popolo per lavorare alla fabbrica del popolo e sfamarsi col pane del popolo.
Da quando invece, negli anni Novanta, la Lega Nord ha fatto praticamente incetta di quei residui di classe operaia italiana cosciente che ancora restano nei meandri industriali dell’Italia padana, l’astio si è acuito, accrescendo di pari passo la rabbia di quel partitone del centrosinistra che, sempre in quegli anni, ha completamente abbandonato ogni rivendicazione di tipo operaio e specialmente di tipo italiano, abbracciando salotti dalla pastasciuttata antifascista facile e il culto di un passato utile a far dimenticare le pochezze politiche dell’oggi. Tra una preghiera a Berlinguer, una a Longo e un’altra a Pertini infatti, tutta l’area aristodem di sinistra assume connotati sempre più antipopolari e antioperai, e se ti trovi a lavorare in fabbrica e a votare un partito come la Lega Nord sei un reprobo, un untermenschen da Val Trompia.
A promuovere ciò è la figliolanza di quegli addetti ai seggi elettorali del PCI che si sono dimenticati di quando i loro padri andavano, poco prima della tornata elettorale di turno, a cercare di inserire il simbolo elettorale comunista sempre in alto a sinistra, perché il loro votante medio, da perfetto analfabeta, sapeva votare solo per riconoscimento di colore. Questo nell’Italia degli anni Settanta e Ottanta, non in quella degli anni Trenta. Sono le nuove leve di quella larga schiera di imboniti che si è fatta cuccare per decenni con la storia dell’applicazione del socialismo reale tramite l’applicazione della Costituzione, leggasi idolatria berlingueriana. Sono i nipoti di chi la formazione culturale se la faceva dalle colonne dell’Unità, ritrovandosi tra le due narici del naso un terzo buco, utile a far scivolare la materia grigia da donare al Partitone del centralismo democratico, altrettanto grigio di suo. E non per meriti cerebrali. Ed è quel partito che oggi si ritrova ancora in quei baracconi catartici delle feste dell’Unità, quelle feste dove nelle profonde provincie dell’Italia Rossa si è ancora convinti che votare PD significhi “votare comunista”, in un’orgia di analfabetismo politico che si perpetua da decenni e i cui frutti malevoli, purtroppo, ricadono su tutti i cittadini italici.
Ecco chi vi discrimina, questa classe di attivisti medio-snob, centro-popolari, medio-riformisti, clericheggianti e assolutamente incapaci di fornire una classe dirigente locale accattivante. Perché se vogliamo distogliere lo sguardo dalla pochezza della base, a sinistra le leve dirigenziali lasciano, se possibile, ancora più sconcerto. Qualche nome? Una Picierno, una Boldrini, una Giuditta Pini, una Moretti, un Nichi Vendola, un Walter Veltroni. Per fortuna questi personaggi con la Lega Nord non hanno niente a che fare, sono tutta gente loro. Ai quali io, modestamente, preferirò sempre un Luca Zaia.
Alessandro Catto ( fonte Iltalebano.com)