Il federalismo o è competitivo o non è. A Gianfranco Miglio quello tedesco non piaceva molto. Tant'è che lo definiva un "falso" federalismo. E aveva ragione perché si tratta di un federalismo basato sui rapporti di solidarietà e di cooperazione tra i vari Lander. Al contrario, l'essenza del federalismo è la competizione fra i soggetti istituzionali federati che lo compongono. Nel 1929 la Germania rispose alla crisi success iva al crollo della borsa di Wall Street rafforzando il ruolo istituzionale dello Stato e il dirigismo economico - e così furono gettate le basi per l'affermazione del totalitarismo. Alla crisi attuale, che non ha precedenti ed è addirittura più grave di quella del 1929, la Germania ha risposto decentrando, cioè potenziando il ruolo del sistema delle autonomie locali. L'assunto di base che ha portato a questa scelta di campo è che i processi di globalizzazione possono essere fronteggiati con maggiore successo riconoscendo una maggiore porzione di autonomia ai territori.
I Lander, insomma, devono essere messi nelle condizioni di rispondere alle nuove sfide dell'età globale grazie all'autonomia politica e amministrativa che gli viene concessa dallo Stato centrale. In queste settimane si sta tuttavia svolgendo in Germania un vivace dibattito che mette in crisi proprio l'aspetto cooperativo e solidaristico di questo modello di federalismo. Dopo aver imposto all'intera Europa la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, la Germania infatti l'ha imposta anche ai suoi Lander. E ve ne sono alcuni - Berlino, Amburgo, Brema, Saarland e Nord Reno - Westfalia – che hanno la contabilità in rosso, vale a dire hanno un rapporto fra il Pil territoriale e la spesa pubblica locale fortemente sbilanciato, tanto che la prospettiva è quella dell'accorpamento con altri Lander. Si parla di ridurli da 16 a 11 se non addirittura a 9. E si parla anche di ridare vita, nei territori dell'ex Lega Anseatica, a uno " Stato del Nord" su base macroregionale. Tutto ciò è molto indicativo per la realtà italiana per una folla di ragioni sulle quali è necessario riflettere. In primo luogo, di fronte a una crisi che ha messo in ginocchio molti sistemi economici e produttivi territoriali e si abbatte con virulenza sulle famiglie e le imprese, non bisogna più trascurare l'andamento della contabilità pubblica locale, riassunta nel rapporto fra il Pil regionale, la spesa pubblica e la fiscalità territoriale. Ogni amministrazione regionale deve essere inchiodata alle proprie responsabilità. L'intero Sud è destinato a fallire - in particolare: Calabria, Sicilia, Campania, Basilicata, Puglia - perché in queste regioni la spesa pubblica locale sfiora costantemente il 100 per cento del Pil del territorio. Al contrario, in Lombardia la spesa pubblica locale è quantificabile in quasi il 40 per cento del Pil regionale (valore molto simile a quello dei Cantoni svizzeri), che – a sua volta – rappresenta un quarto del Pil del Paese. Sinora il fallimento del Sud è stato evitato perché ogni lavoratore lombardo stacca un assegno di circa diecimila euro all'anno per il Mezzogiorno. Anche gli altri lavoratori del Nord erogano risorse per il Sud, ma la cifra è più contenuta. L'altro ieri ci ha pensato lo Svimez a spiegarci che negli ultimi cinque anni - quelli della crisi più pesante – la Lombardia ha perso due punti e mezzo di Pil, mentre la Sicilia ne ha persi 11. E la previsione è che il Pil , nel 2014, cresca dell'1 per cento al Nord, dello 0,4 per cento al Centro e dello 0,1 per cento al Sud. In questo senso, la "lezione" tedesca, con la probabile soppressione dei Lander con i conti in rosso, ci suggerisce anche che devono essere cancellate una volta per tutte le politiche assistenziali basate sulla solidarietà e concepite per ridurre gli squilibri territoriali. Si tratta di politiche assistenziali che lo Stato centrale ha praticato nei confronti del Mezzogiorno sin dalla nascita della Repubblica. In oltre sessant'anni di storia non hanno mai generato sviluppo anche per via del carattere diffusamente clientelare assunto dall'erogazione e dalla distribuzione delle risorse. È giunto il momento della responsabilità, perché in Italia di cooperazione sinora ce n'è stata sin troppa. E nella crisi non c'è più spazio per la cooperazione e neppure per la solidarietà. Infine, l’idea di fondare uno "Stato del Nord" , rievocando i fasti della Lega Anseatica, ci dice che la prospettiva macroregionale è quella giusta. L'idea di progettare delle razionali aggregazioni amministrative macroregionali in relazione alle vocazioni economiche e produttive territoriali e alle capacità fiscali rappresenta una concreta indicazione verso la costruzione della Macroregione del Nord. Questa è la strada da percorrere risolutamente e senza indugi. (fonte La Padania )