La «questione settentrionale» è stata, ancora una volta, il crinale sul quale si è deciso l’esito della campagna elettorale in Lombardia. Come questione economico sociale essa nasce con l’altra gemella, la questione meridionale. È stato il modo con cui si è realizzata l’Unità che ha creato questa a-simmetria. La divisione tra Nord e Sud era preesistente, ovviamente. Fin dal ’700: al Nord riforma agraria, sviluppo industriale e Comuni; al Sud latifondo, arretratezza, feudalesimo politico. L’Unità italiana, realizzata come annessione militare al Piemonte del Regno delle Due Sicilie ha giustapposto, senza fonderle, realtà diverse. Fino alla fine degli anni ’70 del ’900 il Nord non aveva ragione di lamentarsi: attingeva la forza-lavoro dall’esercito di riserva del Sud, attraverso l’immigrazione massiccia e bassi salari, e rovesciava i propri prodotti sui mercati del Sud. Il Nord stava bene, il Sud male. I tentativi di riequilibrare i rapporti diseguali con la riforma agraria o la costruzioni di cattedrali industriali nel deserto, attraverso i 100 mila miliardi della Cassa del Mezzogiorno, erano falliti. La questione settentrionale come «questione politica» insorge alla fine degli anni ’70, quando arrivano, tutti insieme, la crisi fiscale dello Stato, l’innalzamento verticale della spesa pubblica, l’aumento incessante delle tasse, la crisi produttiva delle grandi aziende. Quasi di colpo, i lombardi incominciano a «vedere» che la ricchezza prodotta quassù viene in gran parte rovesciata nelle casse dello Stato, a causa di una struttura centralistica del sistema fiscale, e non torna più indietro, se non in piccola parte amministrata direttamente e in termini qualitativamente apprezzabili, come nel caso della Sanità, dai lombardi stessi, al netto di episodi di corruzione. La parte maggiore delle tasse resta a Roma per finanziare la crescita tropicale dei costi della politica, per alimentare gli infiniti meandri di spesa statali e para-statali e la superfetazione amministrativa degli apparati statali. La Lombardia produttiva – una impresa ogni 10 abitanti! – finanzia, attraverso le tasse, uno Stato centrale, che alimenta l’espansione di occupazione pubblica parassitaria – privatamente utile, socialmente inutile – e dei sussidi «politici» alle grandi imprese. L’istituzione di ogni nuova Provincia non solo richiede di finanziare le sedi fisiche e i costi di funzionamento del Consiglio, della Giunta e degli assessorati, ma genera l’indotto di prefettura, di questura, di procura, di Guardia di finanza, di carabinieri, del provveditorato, cioè un automatismo inarrestabile di spesa. Come si vede, la questione settentrionale come questione economico-sociale e politica non è stata inventata dalla Lega di Bossi e Maroni. Viceversa, è la questione settentrionale che ha «inventato » la Lega. Detto altrimenti: è il sistema politico della Prima Repubblica che è stato incapace di affrontare e risolvere la questione meridionale e ha creato quella settentrionale. Questo dato fa ormai parte del nocciolo duro della coscienza politica dei lombardi, oggi. A tal punto che anche la Lega si trova in affanno a rispondere a questa coscienza, come appare dai non brillanti, ancorchè vincenti, risultati elettorali. Domanda: la colpa è del popolo che vota con le viscere o, all’opposto, della politica che ha perso il cervello, cioè l’intelligenza del Paese? Una via d’uscita? Un sistema fiscale alla svizzera (il Cantone-Regione elabora una propria legislazione tributaria e riscuote imposte dirette, i Comuni riscuotono tasse dirette dentro questo regime, la Confederazioni riscuote tasse dirette), l’abolizione totale delle Province (i loro servizi possono essere offerti dai Comuni opportunamente ridotti di numero e consorziati), il dimezzamento delle Regioni. (fonte GIOVANNI COMINELLI - Eco di Bergamo 11-03-2013)
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