SPESE PAZZE E RICHIESTE DI ARCHIVIAZIONE
La procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per 33 consiglieri regionali su 91
accusati di spese pazze al Pirellone. Dopo un anno di accertamenti, i pubblici
ministeri hanno diviso finalmente il grano dal loglio. Ma a quale prezzo? Non si poteva fare prima questa selezione anziché iscrivere in massa nel registro degli indagati tutti i consiglieri che avevano presentato rimborsi spese? Tra i «graziati» di fine indagine, tre politici bergamaschi di lungo corso: Giuseppe Benigni (Pd), Valerio Bettoni (Udc) e Daniele Belotti (Lega Nord). Quest’ultimo ha commentato la notizia con sollievo, ma anche con amarezza: «La
mia carriera politica è stata interrotta da accuse che ora sono cadute». Come dargli torto? Anche perché, dimostrando coerenza con quanto aveva predicato fino ad allora, il consigliere lumbard, di fronte al fango che pioveva sulla Regione e i suoi scandalosi rimborsi spese, aveva scelto di non ricandidarsi «pur sapendo di aver agito correttamente». Quale fosse il motivo di quella fretta inquisitoria che si è tradotta di fatto in una pesca a strascico, non è dato sapere ed è impossibile dare una risposta sensata. Chiunque ci può mettere del suo. E qualcuno si è già sbizzarrito nel dare letture politiche all’azione giudiziaria, tanto più che gli avvisi di comparizione vennero spediti in un paio di tornate a distanza di un mese: prima colpirono il centrodestra e la Lega (sotto Natale), poi il centrosinistra (fine gennaio, a liste elettorali chiuse). Anche a concedere alla Procura di Milano tutta la buona fede che merita e senza accreditare assolutamente la tesi della giustizia ad orologeria, la mossa non fu felicissima: perché la magistratura non deve solo essere imparziale (e ci mancherebbe), ma è tenuta anche ad apparire tale. E una sede giudiziaria come quella di Milano dovrebbe essere abituata a maneggiare con cura inchieste con delicati risvolti politico-istituzionali. La valanga di scontrini dalle giustificazioni più bizzarre si abbatté un anno fa sulle macerie dell’impero formigoniano. Dopo le inchieste sui fondi neri della Maugeri-Daccò con le vacanze in yacht pagate al governatore, i sospetti di ‘ndrangheta sull’assessore Zambetti, la sfilza di assessori e consiglieri sotto inchiesta a vario titolo per corruzione, abuso, peculato e associazione per delinquere, arrivò la ciliegina sulla torta di un potere ventennale in rapida dissoluzione: cene a base di aragosta, banchetti nuziali per la figlia del capogruppo, cartucce (non per stampante, ma da caccia), vasoni di Nutella e Mon cheri comprati all’Autogrill, libri sulla mignottocrazia e via rimborsando, tra colpevoli silenzi e imbarazzati distinguo. E mentre i
giornali giustamente dedicavano i titoloni in prima pagina, perché il peso della notizia era innegabile, il popolo dei consumatori arrancava col carrello della spesa. Una situazione di stridente contrasto che ha amplificato gli avvisi di garanzia e la gogna di chi ne veniva ingiustamente colpito. Cioè uno su tre, sempre che le richieste di archiviazione dell’accusa vengano poi accolte dal giudice per le indagini preliminari. Più che un margine fisiologico di errore, una percentuale piuttosto alta da sacrificare sul grande falò dell’Anticasta.