Primo punto: meno Europa. Nel nome del “Più Europa” si sono accettati provvedimenti che hanno messo in ginocchio la nostra economia. La distruzione della domanda interna attuata con tagli e tasse aveva un solo scopo: riequilibrare la bilancia commerciale che era in costante deficit per colpa di una moneta (l’euro) troppo forte per la nostra economia. Riducendo i consumi si sarebbe importato di meno senza impattare sulle esportazioni. L’obiettivo è stato raggiunto ma a costo di mettere in ginocchio il lavoro e la produzione. Il principio che è stato dispiegato con cinismo da un partito che osa dichiararsi di sinistra è che in mancanza di flessibilità di cambio la competitività può essere riconquistata solamente per mezzo dell’abbattimento dei costi di produzione, vale a dire con la compressione di stipendi e salari. La difesa dell’euro si attua quindi sulla pelle degli italiani, creando a bella posta disoccupati e fallimenti mentre il riequilibrio potrebbe attuarsi in modo naturale con un cambio flessibile. La prova dell’importanza del cambio si è avuta con la rivalutazione del franco svizzero che, pur non essendo estrema come l’euro ha già messo in difficoltà anche un paese efficiente e organizzato come quello elvetico.
Consentire la distruzione del reddito distorce anche il concetto di inflazione come eravamo abituati a considerarlo: infatti anche in presenza di prezzi stabili (o addirittura in calo) se il reddito si riduce fortemente ecco che il potere d’acquisto svanisce. Un prodotto che costa 100 apparirà doppiamente caro per il lavoratore che sarà stato costretto ad un dimezzamento di stipendio. In pratica 100 per cento di inflazione pur con prezzi immobili. Anche la rata del mutuo, se pur bassa, diventa insostenibile se il reddito si dimezza. Pertanto fuori dall’euro il prima possibile, possibilmente concordando l’uscita con i partner europei, per riequilibrare la nostra competitività e riconquistare per mezzo della sovranità monetaria l’autonomia di manovra per attuare politiche anticicliche. Si intende anche recuperare la nostra democrazia riprendendo l’autonomia legislativa necessaria per poter attuare ogni azione a tutela del nostro lavoro e della nostra impresa. Le problematiche legate all’uscita dall’Euro (che, ricordiamo, potrà essere attuata solo con un’iniziativa di governo, non certo con un referendum) sono complesse e stiamo da un anno informando capillarmente la popolazione con un manualetto distribuito in centinaia di migliaia di copie e scaricabile gratuitamente sul sito bastaeuro.org.
Secondo punto: più vicini ai piccoli. Il governo Monti-Letta-Renzi ha fatto solo l’interesse delle grandi imprese globalizzate e delocalizzate, di qui il plauso costante di Confindustria. La Lega invece è conscia che il nostro punto di forza sono le piccole medie imprese che hanno sinora resistito continuando a tentare di produrre sul nostro territorio senza delocalizzare. La nostra politica economica sarà disegnata su di loro con interventi di forte detassazione e semplificazione normativa in modo che, insieme al recupero della sovranità monetaria, produrre in Italia diventi semplice e conveniente. La chiave del nostro modello sarà la produzione domestica, non certo l’importazione di beni di scarsa qualità prodotti chissà dove. Se molti imprenditori italiani hanno deciso di delocalizzare salvando i propri profitti a scapito dei posti di lavoro si preparino a fare marcia indietro perché è nostra ferma intenzione costruire velocemente le condizioni per un percorso inverso.
In quest’ottica inoltre ci opporremo con forza al disegno di far diventare le banche popolari facile preda di istituti stranieri: il voto capitario, se pur strumento perfettibile, ha consentito la simbiosi banca-territorio necessaria per la prosperità di intere regioni. In teoria potrebbe diventare un modello addirittura per la futura Banca d’Italia statale e di proprietà popolare con un’azione dell’istituto di emissione inalienabile e assegnata per nascita a tutti i cittadini.
Terzo punto: pagare meno (prima) per pagare tutti (dopo). Il costante aumento delle aliquote ha portato come risultato una costante riduzione della base imponibile con primi preoccupanti segni di calo di gettito in corrispondenza di imposizioni più elevate. Anche in questo caso l’impostazione della Lega è del tutto contraria e proponiamo una terapia shock per mezzo dello strumento della flat tax. Un’unica aliquota molto bassa uguale per tutti, con una deduzione fissa su base familiare renderà dichiarare i propri redditi semplice e conveniente. Anche i controlli saranno semplificati e velocizzati consentendo una verifica a tappeto e di fatto debellando l’evasione e l’elusione, non più giustificata vista la ragionevolezza del tributo richiesto e il timore di sanzioni pesantissime. La maggiore contribuzione dei “ricchi” recuperati dall’area grigia dell’elusione consentirà lo sgravio per tutti come sempre accaduto ogni volta che questo sistema è stato adottato. Anche qualora non si ottenga lo sperato recupero di elusione ed evasione l’impatto sul gettito sarebbe limitato, riportando semplicemente la pressione fiscale a livelli vicini a quelli della Germania con conseguente rilancio per l’economia e aumento delle entrate fiscali. I debiti si ripagano col lavoro e con la crescita: considerare le coperture dei provvedimenti fiscali ex ante senza valutare l’impatto di tali provvedimenti sull’economia è un semplice metodo perché nulla mai cambi.
Quarto punto: spendere per produrre. La politica dei tagli di spesa in recessione ha portato solo più disoccupazione e più recessione con la conseguenza di far crescere (invece che calare) i rapporti di debito e di deficit sul Pil, vanificando così ogni sforzo. Spendere per il gusto di farlo però sarebbe una follia dato che la spesa italiana è largamente inefficiente. Occorre sostituire il sussidio alle regioni arretrate (che provoca le enormi disparità di costo a parità di prestazione) con spesa produttiva, in modo da creare lavoro vero. In attesa del rilancio “naturale” dell’industria con il recupero della sovranità monetaria si potrebbero creare fabbriche e coltivazioni mirate alla produzioni di beni esclusivamente importati da paesi extra Ue. In quest’ottica rientrerà anche (come extrema ratio) l’eventuale nazionalizzazione di imprese strategiche e/o produttrici di beni richiesti dal mercato ma momentaneamente in crisi per colpa dell’Unione Europea. Non possiamo tollerare che si ripetano casi simili alla TRW di Livorno in cui una ditta tedesca, di proprietà pubblica, chiuda improvvisamente uno stabilimento di eccellenza dopo averne duplicato all’estero i processi industriali e lasciando senza lavoro più di 400 famiglie. La spesa necessaria alla riconversione delle imprese o, nel caso della produzione di beni abitualmente importati, alla copertura della realizzazione “sottocosto” di tali beni (se fosse conveniente produrre a prezzo pieno lo farebbero i privati) consentirà di rimettere in circolo denaro, contrastando al contempo lo squilibrio della bilancia commerciale perché si ridurrebbero le importazioni. Il tutto ovviamente sotto ferreo controllo e trasparente rendicontazione accessibile a tutti per evitare che si ricreino centri di spesa slegati alla performance aziendale di prodiana memoria. In pratica si otterrebbe creando lavoro quello che Monti ottenne distruggendolo.
Quinto punto: politiche anticicliche mirate alla piena occupazione. I governi Monti Letta e Renzi hanno attuato politiche procicliche che hanno creato disoccupazione. In recessione l’austerità è suicida. I trattati europei (Fiscal Compact in primis) devono essere subordinati alla sostenibilità economica e alla priorità della ricerca della massima occupazione, esattamente come recitano i mandati di banche centrali che agiscono in cooperazione con il governo come ad esempio la Federal Reserve. Lo stato deve pertanto essere in grado di poter avere flessibilità di bilancio (meno tasse o maggior deficit) qualora l’economia risulti in recessione e il tasso di disoccupazione sia superiore alla disoccupazione fisiologica. A tal proposito abbiamo già provveduto a depositare un emendamento alle leggi di modifica costituzionale attualmente in discussione perché sia sancito il predominio delle necessità economiche dello stato rispetto a qualsiasi trattato europeo.
Sesto punto: abolizione della legge Fornero. Il primo “regalo” di Monti fu la legge Fornero e quindi dev’essere una delle prime cose ad essere spazzata via. Un sistema previdenziale che diventa contributivo ma al contempo lascia i lavoratori privi di un lavoro e della pensione è assurdo, barbaro e deve essere abolito. Il concetto stesso di pensione contributiva dovrebbe comportare la possibilità di andare in pensione a qualsiasi età, ovviamente con una pensione corrispondente ai contributi versati e attualizzata all’aspettativa di vita. In buona sostanza in ogni momento il cittadino deve essere libero di poter riavere i propri contributi scegliendo se ottenere un assegno basso ritirandosi dopo meno anni lavorativi oppure una pensione più elevata lavorando più a lungo. Evitare il forzato mantenimento al lavoro di persone in avanzata età aiuterebbe anche il necessario ricambio generazionale. In nessun caso un lavoratore può essere “esodato” senza stipendio e senza pensione.
Settimo punto: no Ttip. Mentre il Pd manda Gianni Pittella in missione con lo scopo di accelerare le trattative sul trattato di apertura transatlantica dei mercati nessuno ha informato delle conseguenze che una simile pazzia potrebbe avere. Spalancare ulteriormente l’Italia alla concorrenza estera mentre la nostra industria, la nostra agricoltura e il nostro allevamento sono in ginocchio significherebbe dare il colpo di grazia alla nostra economia. Entrare in aree di libero scambio sempre più grandi, con lo svantaggio di una moneta artificialmente sopravvalutata per la nostra economia e, per di più, demandando ad altri le autorità di controllo e sorveglianza equivale a mettere a nuotare i nostri figli in una piscina piena di coccodrilli. Non lo permetteremo. Parimenti rimanderemo al mittente qualsiasi proposta di mutualizzazione del debito usando garanzie reali utili solo ai creditori esteri secondo lo schema previsto dall’European Redemption Fund.
Ottavo punto: valorizzare le diversità e controllare le frontiere. Il Pd preme per l’azzeramento degli enti locali in Italia, la cessione di sovranità a Bruxelles e l’annegamento globalista in un mondo dominato dalle grandi multinazionali rese “competitive” dalla mano d’opera a basso prezzo incoraggiata ad invaderci con “mare nostrum” e frontiere aperte. Noi, anche qui, vogliamo l’esatto contrario. Siamo convinti che il “frullato” di culture e sapori faccia comodo solo a pochi e che invece nella diversità, nelle tradizioni e nelle autonomie locali vi sia la vera ricchezza. Pertanto siamo per uno stop all’immigrazione incontrollata in assenza di domanda di lavoro e per la valorizzazione e la responsabilizzazione degli enti locali e delle autonomie come strumento di conservazione e tutela delle diversità del nostro territorio e delle nostre culture e tradizioni che saranno la nostra ricchezza una volta ristabilita la normale competitività delle diverse valute.
Nono punto: si può tassare solo se c’è reddito. Monti Letta e Renzi hanno affrontato l’aumento della disoccupazione inseguendo i beni dei cittadini con gabelle assurde inventate con la scusa di “trasferire le tasse dal lavoro alle cose”. In realtà questo sistema si è rivelato semplicemente un furto permanente e un modo di far pagare anche i disoccupati. Il principio che proponiamo è molto semplice: non può esserci tassa in assenza di reddito. Pertanto cercheremo metodi per superare tutte le imposte (tranne quelle sul consumo) che possano gravare anche su chi non ha redditi quali ad esempio: Irap, bollo sui risparmi, studi di settore, Imu prima casa (Tasi), acconti Iva ecc. ecc. Anche in questo caso occorrerà ribadire i principi costituzionali di tutela del risparmio e di tassazione legata alla capacità contributiva di ciascuno, intesa giocoforza come esistenza di reddito tassabile.
Decimo punto: superamento del sistema dei trasferimenti fiscali. Mentre tutti sembrano stoltamente applaudire a Tsipras che pretende di mantenere in vita l’euro e al contempo di vedersi condonati o “ristrutturati” i debiti, in pratica proseguendo un meccanismo assistenziale in Italia ben noto e in cui alcuni sussidierebbero altri in perpetuo noi dovremo prepararci a soluzioni opposte anche quando avremo riconquistato la nostra sovranità. Il “sistema Tsipras” prevede che l’Italia si ritrovi nella paradossale situazione di essere uno stato in crisi e danneggiato dall’euro e dall’Europa ma, nonostante ciò, essere finanziatore di altri stati e dei loro creditori privati. Noi proponiamo un sistema dove nessuno debba pagare per altri e dove ognuno possa essere competitivo con le proprie forze con sistemi di aggiustamento diversi dalla disoccupazione e dalla miseria. Pertanto dopo un iniziale ritorno allo status quo pre-euro, necessario per rimettere in piedi il tessuto industriale del nord Italia con l’aiuto di una valuta più leggera, occorrerà pensare a meccanismi di flessibilità (come ad esempio due monete) per riequilibrare la competitività del sud esattamente nello stesso modo in cui si cerca il recupero della competitività italiana verso la Germania.
Come si può vedere le nostre proposte sono esattamente opposte a quelle applicate dal Pd e anche opposti saranno i risultati. Con Pd più tasse, più debito e più disoccupazione: con la Lega nord meno tasse, meno debito e meno disoccupazione. La difficoltà maggiore è capire che si può scegliere.