«Via le tasse, più credito e una voce sola in Europa»
«Trattenere il 75% delle tasse per togliere l’Irap significa creare occupazione: non capisco perché questi discorsi non li fa la sinistra. Maroni sappia che non è solo, saremo al suo fianco».
Presidente Galassi, che cosa si aspetta dall’elezione di Maroni, che lei aveva incontrato in campagna elettorale, a governatore della Lombardia?
«Che recuperi per il territorio il 75% delle tasse e lo investa tagliando le tasse, a cominciare dall’Iva. Tutti parlano, ma non aggiustano mai. L’importante è che Maroni agisca, come ha dimostrato di saper fare da ministro. Per noi la sua elezione è un segnale positivo. Anche gli imprenditori non leghisti la pensano come lui. I segnali forti che ha lanciato in campagna elettorale lo hanno avvantaggiato al di là della sua appartenenza politica. Speriamo che si ripeta come buon amministratore».
Qual è l’attuale situazione delle piccole e medie imprese lombarde?
«Ho 56 anni, sono entrato in Confapi a 26 e so che la Lega è sempre stata molto vicina alle piccole e medie imprese. Rappresentiamo la metà dell’economia lombarda. Il nostro mondo è manifatturiero, lavora e garantisce occupazione. La media delle nostre tremila aziende associate è di 18-20 dipendenti. Chi fa reddito oggi? Chi fa il manifatturiero? Le regioni del Nord. La Macroregione del Nord è il secondo produttore manifatturiero europeo (il primo è la Germania, nda). Il governo italiano, ma anche l’Europa devono investire dove siamo più forti: ci devono dare dei vantaggi, come è giusto che al Sud li dia al turismo, al commercio, ai beni artistici, all’agricoltura».
Perché tira in ballo anche l’Europa?
«Se in Veneto ci sono aziende che vogliono andare in Carinzia, dove hanno leggi particolari che lo rendono conveniente, e quelle lombarde sono attratte dalla Svizzera, c’è qualcosa che non va anche a livello europeo. La Svizzera può fare le leggi che vuole, ma gli altri Paesi sono nella Ue, o sbaglio? Non stiamo parlando più di Romania, Bosnia o Cina, ma dell’Austria, della Slovenia, della Polonia... A Maroni e a chi rappresenterà la Macroregione del Nord chiederei una spinta in più a questa Europa, che così com’è non va bene. Da giovane ero europeista, oggi a guardarla mi viene voglia di suicidarmi».
Quale ruolo può giocare in questa partita la Macroregione?
«Bisognerà che sia un passaggio per affermare che non l’Italia, ma solo la Macroregione del Nord è il secondo produttore manifatturiero europeo. E agire finalmente di conseguenza».
A partire da che cosa?
«Innanzitutto, trattenere più tasse in Lombardia e nelle altre Regioni, levare l’Irap o ridurre le tasse regionali. In Italia c’è una falsità assoluta: al dipendente diciamo il netto e il lordo che paghiamo per lui, ma non il costo che rappresenta per l’azienda. La tassazione reale non è al 42%, come dicono, ma al 65-67% perché alle tasse nazionali si devono aggiungere quelle regionali e comunali. È fondamentale ridurre le tasse».
Che cos’altro diverrà possibile secondo lei grazie alla Macroregione?
«Che non succeda più che ciascuna Regione va in Europa e parla per sé. Bisogna andarci con un progetto unico. Nominiamo un solo rappresentante che porti avanti un piano comune per tutte le Regioni».
Quali altri benefici pratici vi attendete per il comparto economico e, più in generale, per l’intero territorio?
«L’imprenditore il suo dono ce l’ha: la capacità di fare qualcosa, siano vestiti o aerei. Le difficoltà che incontra sono tre: le tasse, la burocrazia e il sistema finanziario, a partire dalle banche. Per la burocrazia, occorre cambiare mille leggi a Roma: ci penseremo dopo. La prima cosa è rivedere la tassazione, la seconda i finanziamenti».
Altro punto dolente...
«L’accesso al credito è una cosa allucinante. Con Maroni in Lombardia, si sbloccherà qualcosa anche da Finlombarda. Ma rivedere il sistema fiscale non è solo un problema italiano, è europeo. Maroni deve fare il suo pezzo: far sì che rimangano qui i soldi da noi versati. Togliere l’Irap significa creare occupazione: non capisco perché queste cose non le fa la sinistra».
Quali lamenti raccoglie fra i suoi associati?
«Gli imprenditori mi chiedono: se l’Europa dà denaro all’1% di interesse, perché le banche lo danno al 7-8%? E poi: perché le imprese continuano a fallire e le banche no? Ho a che fare con gente particolare, che si alza la mattina presto, va a lavorare, ci sta fino alle dieci di sera, gira il mondo, come dipendenti ha amici, parenti o gente dello stesso paese. Da noi mettere la gente in cassa integrazione è un problema».
Perché?
«È un problema strutturale e culturale. Negli ultimi due mesi hanno chiesto la “cassa” cento nostre imprese. Ma come facciamo a dare garanzie alla società, se neanche in un’azienda di 15 dipendenti è chiaro che cosa succederà e l’unico strumento di salvezza è la cassa integrazione? Che poi sono soldi versati da noi imprenditori, e che diamo ai nostri dipendenti per dare l’illusione che l’economia va avanti lo stesso... Insomma, è un bello strumento sociale e di garanzia. Ma se non ci attacchiamo a un futuro di sviluppo, prima o poi finiranno anche quei soldi. Senza sviluppo non possiamo garantire nulla, né alle imprese né ai lavoratori. Ripeto: perché la sinistra non fa questi discorsi?».
Ha ancora fiducia nella politica?
«Queste cose le diciamo da dieci anni, vorrei vedere qualche risultato. I miei associati mi sgridano perché non li vedono, e io sono stufo di non ottenerli, ma anche di essere ripreso da quelli che io tutelo. Alla politica non guardo più il colore, chiedo il risultato. Maroni sappia che non è solo, saremo al suo fianco».
( fonte La Padania Andrea Accorsi 07 Marzo 2013)