Dal primo settembre, Ciniero è impegnato, pro bono, con lo spirito di servizio da civil servant, a fianco del presidente Roberto Maroni per promuovere la consultazione presso i cittadini e il mondo dell' imprenditoria. Non sarà il solo testimonial, il governatore lombardo pensa a un pacchetto di 3-4 eccellenze prese dai settori più vari, ma è il primo a venire allo scoperto e ha deciso di spiegare il perché in esclusiva a Libero. «Conosco Maroni da che era ministro dell' Interno, all' IBM avevamo rapporti con il Viminale per progetti di sicurezza» racconta. «Negli ultimi vent' anni i ministri più importanti li ho incontrati tutti, e lui rientra nel poker dei migliori con cui ho lavorato, per questo quando mi ha chiesto una mano ho acconsentito con entusiasmo. Maroni è uno dei rari politici capaci di far succedere le cose che dicono».
Quindi è una questione d' amicizia?
«No guardi, sono un uomo pragmatico, d' azienda.
Ho avuto molto e ora voglio restituire qualcosa. L' Italia è all' ultima chiamata, non si illuda, siamo ridotti a festeggiare il Pil che aumenta dell' 1,2% (e va anche bene) ma il resto d' Europa cresce il doppio. Non abbiamo molto tempo se vogliamo dare una raddrizzata al Paese».
E cosa c' entra questo con l' autonomia della Lombardia?
«È l' unico modo per salvare l' Italia. La politica è impantanata e autoreferenziale. C' è troppa ignoranza nel Palazzo di quello che accade nel territorio e di cosa serve davvero, subito. Manca il dialogo competitivo tra privati e pubblico. Basta interventi a pioggia. Bisognerebbe spostare governo e Parlamento da Roma a Milano».
Vecchio cuore leghista?
«Io? Votavo liberale e repubblicano da ragazzo. Oggi mi definisco multipartisan: questo referendum è dei lombardi, non della Lega. Però su Roma la Lega ha ragione da sempre. Ci sono ministri che mi hanno confidato di restare in piedi fino all' alba per controllare che la burocrazia di Palazzo non cambi nottetempo le leggi, basta una virgola o mezza parola per stravolgere il significato di una norma e sterilizzarla».
In che modo l' autonomia della Lombardia può giovare all' Italia?
«Siccome il sistema centrale è troppo oliato e farraginoso, non lo scardini da dentro. Non ci è riuscito neppure Berlusconi, che è stato vittima di troppi condizionamenti. La politica romana è tutta mediazione, compromesso e voto di consenso.
Oggi non sappiamo neppure con che legge elettorale andremo a votare, l' unico agente di cambiamento e di trasformazione sono le Regioni, vero motore dell' economia».
Ho capito, lei è un federalista?
«Lo sono tutti i Paesi che funzionano, a partire dalla Germania e dagli Usa. Le Regioni oggi sono le sole istituzioni a conoscere il tessuto economico del Paese e a poter intervenire. La politica nazionale non conosce in profondità il territorio e non può modernizzare il sistema. E poi il federalismo è nel nostro dna».
Questa non l' avevo mai sentita «Sono un appassionato di storia, glielo garantisco. Noi siamo il Paese dei Comuni, dei Ducati, delle Città-Stato e dei mille campanili, per il resto siamo sempre stati dominati da Stati stranieri fino a 150 anni fa».
Quindi lei auspica che tutte le Regioni diventino autonome?
«Premesso che ce ne sono già alcune, quelle che possono permetterselo sì. L' articolo 116 della Costituzione permette alle Regioni virtuose di chiedere più deleghe per l' autonomia. La Lombardia paga un quarto di tutte le pensioni italiane, è l' unica Regione che ha recuperato i livelli occupazionali, produttivi e di consumo precedenti alla crisi del 2008, non ha praticamente debito, paga i fornitori prima degli altri, ha la pubblica amministrazione meno costosa, ospita il 50% delle start up nazionali come fatturato e il 30% degli investimenti totali, con un residuo fiscale di 53 miliardi dà allo Stato più del doppio dei soldi che tiene per sé. È meglio della Baviera, che però ha un residuo fiscale di 1,5 miliardi. Si immagini come sarebbe la Regione con 53 miliardi in più. Ne bastano 20 per avere piena occupazione e sanità totalmente gratuita».
Come si spiegano queste performance?
«Perché la Lombardia è davvero speciale, è amministrata bene. E poi ci sono i lombardi, grandi lavoratori».
Riecco lo spirito leghista: cosa risponde a chi accusa questo referendum di essere egoista e di voler spaccare il Paese?
«Se la Lombardia diventa autonoma può esportare il suo modello vincente di governo alle altre Regioni, fare da traino a tutta la nazione ed essere il motore che fa rialzare e cambia tutto il Paese. Questo referendum sarà un progetto pilota».
Ma il modello non sarebbe esportabile anche ora, basterebbe che gli altri copiassero i lombardi?
«No, il referendum è necessario per acquisire peso politico. Così Maroni può andare a Roma e negoziare il suo modello di Paese».
Che in due parole è?
«Basta con i cerotti e la spesa corrente, solo investimenti che generano reddito, all' americana. Finché non vedo gli stipendi e l' inflazione salire, la disoccupazione scendere a livello Europa e i carrelli della spesa pieni per me la crisi non è finita. Questo 1,2% di crescita è congiunturale, come dice Bankitalia, dovuto al mercato dell' auto, che però è ciclico, a un minimo di industria 4.0 e all' export, che va benissimo ma non è indice di vero benessere come lo sono i consumi interni».
L' Europa è un nemico o un alleato?
«Di fregature la Ue ce ne ha tirate, dall' eurotassa all' euro, che è stato fatto per rifinanziare la Germania dopo la caduta del muro di Berlino. E adesso la Merkel, anziché ringraziarci ci detta legge e ci gioca contro».
Quindi l' Europa è un nemico?
«Non so, certo solo sul lettino di uno psicanalista si può spiegare la passione di molti italiani per l' Europa.
Oggi le guerre non si combattono più con le armi ma con l' economia e noi siamo diventati terra d' occupazione, esattamente come la Cina ha occupato un terzo dell' Africa senza colpo ferire: pensi alla Francia, che ci ha comprato Telecom e ora punta a Mediaset, e nel governo nessuno si muove.
Perché? Forse perché Berlusconi è antipatico alla sinistra? Per me prima ci sono le sue aziende! Per fortuna abbiamo Calenda».
Non si fida di Macron?
«Con quella faccia da volpino? Io credo che l' unica strada per l' Europa sia una doppia moneta e una Ue a due velocità, con noi in fascia bassa, perché abbiamo bisogno di un cambio che ci faccia ripartire e prendere velocità».
Stiamo meglio o peggio dell' estate del 2011 in cui fecero cadere Berlusconi?
«Nel 2011 c' erano dei problemi seri ma stavamo meglio di quanto non ci facessero credere. Solo che bisognava fare quello che voleva la Merkel e hanno messo Monti, un presidente del Consiglio ubbidiente, a fare i compiti per la Cancelliera. La sua politica dell' austerità ha fatto soffrire il Paese fino a fermarlo. Con Letta andava un po' meglio, ma Renzi fremeva e l' ha mandato a casa. Tremo al pensiero che avrebbe potuto arrivare al potere vero».
Se avesse vinto il referendum del 4 dicembre?
«Lì sarebbe stato il re d' Italia. Però da manager le confesso una cosa: questo Paese è andato bene solo quando c' era qualcuno che decideva dall' alto e lo faceva funzionare, come con gli americani con il piano Marshall.
O come quando Zamberletti ha fatto il Commissario dopo il terremoto del Friuli. Il caos è iniziato quando ci siamo soffocati in un eccesso di democrazia. Uno che comanda davvero ci vuole sempre in realtà, resiliente a lacci e lacciuoli e con la capacità di far accadere le cose al momento giusto con la squadra giusta».
La teoria dell' uomo forte alla Craxi?
«È sempre un uomo a fare la differenza con la sua capacità di creare una squadra tesa verso un unico obiettivo.
Questa è la storia sia nella politica che nell' impresa ma anche nella famiglia. Speriamo ci riesca Maroni gestendo in prima persona, grazie al referendum, pure gli investimenti che si faranno in Meridione con i soldi dei lombardi».
Ma lo vincete questo referendum?
«Non ci sono argomenti per votare "No". La sfida sarà portare ai seggi le persone, uno dei problemi dell' Italia di oggi è che manca completamente il senso dello Stato. Siamo stanchi e delusi ma non vinti».
Detto da uno che sponsorizza le autonomie regionali non suona strano?
«Ma guardi che la vittoria di questo referendum sarebbe un segnale talmente forte che anche lo Stato centrale ne uscirebbe rafforzato. Il governo capirebbe che si dovrebbe concentrare su poche cose importanti e strutturali, come la difesa del Paese e dei confini, la cybersecurity, le nostre aziende all' estero, il gap di redditi che si è venuto a creare, l' aumento dei contratti di precariato, ricordandosi magari che un Paese sovrano dovrebbe avere un' azienda di telecomunicazioni ed una compagnia aerea nazionale».
Parla per esperienza personale?
«Certamente da manager non mi sono mai sentito le spalle particolarmente coperte da nessun governo. A un certo punto i miei referenti in Usa mi hanno chiesto di smetterla di presentare loro ministri e premier, tanto appena si stringeva un rapporto o si siglava un patto, questi cambiavano».
di Pietro Senaldi ( fonte liberoquotidiano.it)