Al voto sono andati il 38,25% degli elettori. La provincia in cui si è votato di più è stata Bergamo con il 47,37%, quella con l'affluenza più scarsa la città metropolitana di Milano con il 31,20%.
l governatore Maroni mostra soddisfazione. «Per me conta il dato complessivo, non sono in gara con il Veneto. Sono andati al voto 3 milioni di lombardi. Ora faremo una battaglia insieme, con i 2,5 milioni raggiunti dal Veneto». E aggiunge: «Faremo questa battaglia anche con l'Emilia Romagna, che ha iniziato l'iter ma senza la forza del referendum. Noi puntiamo almeno ad avere lo stesso trattamento che lo Stato riserva all'Emilia Romagna, che rispetto a noi riceve 23 miliardi in più pur avendo un Pil nettamente più basso».
Secondo il governatore «nelle proiezioni che abbiamo oltre il 95% dei cittadini ha detto sì, il 3% no». Al momento non si registrano grossi intoppi con il voto elettronico sperimentale (usato per la prima volta in Italia). Il governatore aveva parlato nei giorni scorsi, in modo prudenziale, di una vittoria politica qualora si fosse arrivati a superare il 34%, percentuale ricavata dal trend delle ultime elezioni amministrative e dagli ultimi referendum. Si tratta tuttavia di una cifra che avrebbe dato ai promotori della Lega soddisfazioni parziali, perché l'obiettivo ufficioso a cui puntavano era appunto il 40% circa.
Bergamo è la città capoluogo dove si è votato di più, Milano quella dove si è votato di meno. Il segretario cittadino del Pd Pietro Bussolati parla già di una «mortificazione di una battaglia condivisa, come dimostra la bassa affluenza milanese». Il dato di Milano, dice Maroni, «va studiato quartiere per quartiere per capire là dove c'è la voglia di cambiamento e perché, relativamente alle prospettive di vita che ha».
In Lombardia il referendum prevede che non sia necessario arrivare ad un quorum, perché l'iniziativa è stata approvata con mozione votata a maggioranza qualificata dal Consiglio regionale. In Veneto bisognerà arrivare invece al quorum del 50%, ma la percentuale è stata abbondantemente superata. Vicenza dovrebbe essere la città campione di voti. Se le due percentuali fossero confermate (40% in Lombardia e 60% in Veneto) si potrebbe parlare di un esito nettamente positivo.
L’iter per l’autonomia
Le due Regioni puntano con questo referendum consultivo (privo quindi di immediato esito politico) a recuperare la gestione esclusiva di quante più materie possibili tra quelle elencate nell'articolo 117 della Costituzione italiana, definite attualmente “concorrenti” perché soggette sia alle decisione dello Stato che delle istituzioni regionali. Si tratta di 20 competenze, a cui si aggiungono 3 materie (pace e giustizia; istruzione; tutela ambientale) indicate nell'articolo 116 della Costituzione, di cui lo Stato ha diritto esclusivo insieme alle Regioni a Statuto speciale.Un pacchetto di 23 materie totali dunque, non indicate in modo esplicito nei quesiti referendari, che chiedono genericamente se si vuole ottenere maggiore autonomia ai sensi di quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale. Lo stesso articolo 116 infatti prevede la possibilità di un iter per permettere alle Regioni di “recuperare” altre competenze aggiuntive.
La questione finanziaria
A questo si lega la conseguente richiesta di trattenere sul territorio maggiori risorse finanziarie, derivanti dalle imposte locali: il Veneto chiede almeno 8 miliardi in più, da recuperare da quei 15,5 annuali di residuo fiscale, ovvero dalla differenza negativa tra ciò che la Regione versa e ciò che riceve da Roma; la Lombardia, con lo stesso ragionamento, ne chiede almeno 24 su 56.
In Lombardia per la prima volta è stato usato il voto elettronico.
Obiettivi immediati: export e lavoro
In Lombardia non c'è quorum da raggiungere.
I governatori dichiarano di avere più forza politica con il referendum per andare a trattare con il governo, ottenendo una legge da votare a maggioranza assoluta, in doppia lettura, nelle due camere del Parlamento, già nel giro di pochi mesi, auspicabilmente prima della prossima primavera e delle elezioni regionali e politiche. Il lombardo Roberto Maroni e il veneto Luca Zaia si dicono pronti ad avviare la trattativa con la presidenza del Consiglio già dalle prossime settimane.
Per la Lombardia la priorità sarebbe tornare a gestire soprattutto l'internazionalizzazione e la ricerca, già in pochi mesi. Questo perché, ricordano i vertici del Pirellone, la regione produce da sola un terzo dell'export nazionale, pari a 111 miliardi, e se lasciata libera porterebbe l'investimento in ricerca al 4,5% del Pil. Il Veneto parla invece delle priorità lavoro e politica industriale, seguendo il principio che una politica industriale nazionale non è possibile per via della differenza tra Nord e Sud.( fonte Il sole24ore)